ALLUCE VALGO L'ESPERTO

ALLUCE VALGO : l'esperto risponde - TESTO DEL PROF. MASSIMILIANO NOSEDA

 

ALLUCE VALGO

 

Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 10 del dicembre 2019 sul tema "ALLUCE VALGO" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, consulente di centri medici e strutture riabilitative.

 

Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico. 

 

Con il termine alluce valgo si è soliti indicare la più frequente deformità acquisita dell’avampiede. Più precisamente si tratta di un’alterazione dell’allineamento del primo dito con aumento del valgismo, ovvero la variazione dell’angolatura, tra il primo metatarso e la prima falange, associato alla comparsa di una protuberanza più o meno voluminosa, detta volgarmente anche cipolla o nocetta. La patologia può essere famigliare, risulta essere fino a 3 volte più frequente nel genere femminile ed è più facilmente osservabile con il progredire dell’età. Si stima, infatti, che ne siano portatori il 23 % dei soggetti tra la terza e la quinta decade di vita, percentuale che salirebbe al 36% oltre i 65 anni. Anche se più rare ne esistono, poi, forme congenite e giovanili che oggi sembrerebbero di più facile riscontro rispetto al passato conseguentemente all’effetto positivo dei controlli pediatrici a cui i bambini sono costantemente sottoposti durante la crescita. La patologia può essere, infine, monolaterale o bilaterale, presentando però in quest’ultimo caso gravità e sintomatologia spesso differenti tra i due lati.

 

L’eziologia dell’alluce valgo non presenta un’unica e chiara causa ma soventemente sembra associarsi a diversi fattori di rischio. In circa l’85- 90 % dei casi la deformità compare in associazione ad una problematica biomeccanica del retropiede che risulta pronato con calcagno valgo. Ciò determinerebbe un appiattimento della volta plantare e un carico anomalo sull’avampiede internamente. Tali forze pressorie anomale possono, poi, interessare anche le altre dita, conseguentemente alla postura difensiva attuata involontariamente dal soggetto per sentire meno dolore, portando così alla comparsa del secondo dito a martello o alla griffe delle altre dita. Nel restante 15-10% dei casi l’alluce valgo si presenta, invece, come esito di una frattura mal guarita o in quadri di patologie neurologiche e reumatologiche dove la lassità legamentosa e la scarsa performance muscolare contribuiscono significativamente alla comparsa dell’alterazione articolare. Devono invece essere assolte le calzature che andrebbero considerate come semplici fattori di rischio e non cause in quanto non sono in grado di generare di per sé la deformità pur potendo renderla sintomatica o accelerarne l’evoluzione su un piede già predisposto, ovvero portatore della già citata sindrome pronatoria.

 

Il paziente con alluce valgo può presentare una deformità con gradi differenti di gravità che può essere sia asintomatica sia sintomatica. In quest’ultimo caso il dolore è ovviamente riacutizzato dal carico, soprattutto se prolungato, e da alcune attività che mettono a dura prova la capacità ammortizzante ridotta dell’avampiede come la corsa o il salto. Nei casi acuti è, poi, osservabile una chiara zoppia di fuga volta a limitare il tempo di carico sulle strutture dolenti. Per tale motivo l’alluce valgo sintomatico può essere causa non solo di discomfort ma anche di serie limitazioni non solo nelle attività della vita quotidiana ma anche sul lavoro e nel tempo libero. Il quadro locale può, inoltre, aggravarsi con la comparsa di borsite, dovuta allo sfregamento dell’articolazione metatarsofalangea contro la tomaia della scarpa, ove la cute può ulcerarsi ed infettarsi se non adeguatamente e tempestivamente trattata, soprattutto nei pazienti diabetici. Altre possibili complicanze da prevenire o gestire sono, poi, le tendiniti, come quella del tibiale posteriore o dell’estensore dell’alluce, o la metatarsalgia, frequente causa di dolore plantare dovuta ad un appoggio compensatorio alterato. E’, infine, possibile la formazione di calli tra le regioni di contatto anomalo tra primo e secondo dito.

 

Sebbene la diagnosi sia immediata e richieda la semplice ispezione del piede, una visita accurata dovrebbe prevedere sempre la ricerca e la rilevazione di segni infiammatori locali come gonfiore, rossore, dolorabilità alla pressione e valutazione dell’integrità cutanea. E’, poi, opportuno procedere testando la mobilità articolare e la riducibilità della deformità oltre che valutando i punti di appoggio e la qualità del cammino, anche in talo ed in equino. Uno studio baropodometrico effettuato in condizioni state e dinamiche può essere molto utile non solo per rilevare con maggior precisione zone di iperpressione o di mancato carico ma anche per dare indicazioni precise qualora si voglia consigliare al paziente un plantare. La diagnostica strumentale prevede, infine, una radiografia del piede che deve essere fatta sempre in carico e che permette sia la stima della gravità del quadro sia un eventuale studio preoperatorio dove indicato.

 

Per quanto riguarda invece il trattamento, il primo approccio è solitamente conservativo ed è volto a risolvere, quando possibile, il quadro doloroso oltre che a recuperare in condizioni statiche e dinamiche una piena funzionalità del piede sia in ambito quotidiano sia in quello ludico-lavorativo. La crioterapia, sotto forma di impacchi di ghiaccio, gli antinfiammatori non steroidei e le terapie fisiche, come laser, ultrasuoni o TECAR, possono essere utili allo scopo almeno in fase iniziale e nei casi associati ad una sintomatologia modesta o saltuaria. Esercizi di stretching, propriocettivi e di rinforzo muscolare sono, inoltre, utili nei casi il cui l’alluce valgo si inserisce in una problematica biomeccanica dell’intero piede al fine di ridurre rigidità articolari e rendere il cammino più armonico e performante. Importante è, poi, la riduzione del peso corporeo nei soggetti in sovrappeso, così come l’uso di calzature idonee con eventuale confezionamento di plantari su misura laddove sia utile ridistribuire i punti di carico. Non vi sono, invece, evidenze scientifiche sull’utilità dei divaricatori che non sono ovviamente in grado di correggere in alcun modo la deformità instaurata e che, oltre a essere considerati molto fastidiosi dai pazienti, tendono a peggiorare tono, trofismo e stenia muscolare locale a causa dell’immobilità prolungata e forzata, compromettendo ulteriormente il quadro articolare locale. Diverso è, invece, il caso delle ortesi di semplice rivestimento del primo dito che possono essere considerate per ridurre le forze di attrito contro la tomaia della scarpa e, quindi, essere utili per gestire o limitare le problematiche infiammatorie cutanee locali come la borsite o l’ulcerazione cutanea. A scopo preventivo è, infine, importante rilevare e trattare i casi di piede piatto in età giovanile, soprattutto nei soggetti con famigliarità per alluce valgo, ed evitare l’uso frequente di calzature con punta stretta e tacco maggiore di 5 centimetri nelle donne predisposte.

 

Si ricorre, invece, alla soluzione chirurgica nei casi più gravi o quando i risultati del trattamento conservativo non sono persistenti o pienamente soddisfacenti. A differenza del passato, l’intervento viene fatto oggi in day hospital e, pertanto, il soggetto può far ritorno al proprio domicilio il giorno stesso. Inoltre, il paziente può camminare fin da subito, utilizzando particolari scarpe ortopediche, che dovrà portare mediamente per 4 settimane. Diverse sono, invece, le tecniche di intervento possibili che vengono valutate e adottate di volta in volta sia sulla base dei differenti quadri locali sia sulla base dell’esperienza personale di ciascun chirurgo. Solitamente tutte prevedono un’osteotomia, ovvero il taglio di una porzione d’osso, e il fissaggio con una o più viti. Le medicazioni della ferita chirurgica vengono eseguite a giorni alterni dal paziente stesso che dovrà osservare per quanto possibile un parziale riposo mantenendo l’arto inferiore elevato nei primi giorni postoperatori. La rimozione dei punti di sutura avviene generalmente dopo 16 giorni mentre dopo il primo mese viene effettuata una radiografia di controllo per valutare il risultato finale. Solitamente il ritorno ad una vita normale si ha tra i 30 e i 60 giorni. I risultati sono nel complesso molto buoni nonostante tutte le casistiche registrino percentuali di recidiva nel tempo o discomfort persistente in misura variabile tra l’8 e il 15 % dei casi.