DOLORE PELVICO CRONICO

DOLORE PELVICO CRONICO: l'esperto risponde - TESTO DEL PROF. MASSIMILIANO NOSEDA

 

DOLORE PELVICO PERINEALE CRONICO

 

Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 4 del dicembre 2021 sul tema "DOLORE PELVICO PERINEALE CRONICO" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, consulente di centri medici e strutture riabilitative.

 

Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico. 

 

 

Di che cosa si tratta

Con il termine "dolore pelvico-perineale cronco" si intende una sindrome clinica abbastanza comune, ma ad eziologia poco studiata e poco nota, caratterizzata da un dolore continuo o ricorrente, che persiste da oltre 6 mesi, ma che non risulta imputabile a neoplasie, infezioni o infiammazioni obbiettivabili a carico di uno degli organi accolti nella cavità pelvica. Il quadro algico viene riferito in tale area e può, talvolta, irradiarsi alla regione lombare, all'inguine, alla radice delle cosce, agli organi genitali maschili o femminili, alla regione sovrapubica o a quella sacrococcigea. Alternativamente tale sindrome viene denominata con l'acronimo CPPS, derivato dalla dizione inglese "Chronic Pelvic Pain Syndrome". Il dolore costituisce spesso il principale sintomo riferito, ma non l'unico, in quanto frequentemente il paziente lamenta anche una variegata sintomatologia a carico dell'apparato gastroenterico inferiore, urinario e sessuale.

Non di rado tale sindrome si trasforma repentinamente in una condizione altamente invalidante in grado di impattare negativamente sulla qualità della vita e di alterare non solo la socialità ma anche la performance quotidiana, lavorativa, sportiva e sessuale del soggetto che ne è affetto.

 

 

Considerazioni anatomiche, evolutive e funzionali

Pelvi e perineo costituiscono la naturale prosecuzione caudale della cavità addominale e formano in pratica una struttura anatomica e funzionale unica in quanto il perineo rappresenta il pavimento della pelvi. Pertanto, tali strutture si influenzano a vicenda, sia durante il loro corretto funzionamento fisiologico, sia in caso di patologia o disfunzione.

Nella maggiorparte degli animali, e in paricolare nei quadrupedi, la pelvi si trova in posizione verticale e il peso degli organi addominali viene sostenuto dalla parete addominale, dotata di una struttura muscolare molto sviluppata in grado di svolgere una buona funzione contenitiva. Durante l'evoluzione della specie umana, il passaggio alla stazione eretta ha portato nell'uomo al trasferimento della zona pelvica su un piano orizzontale attribuendogli una nuova funzione di contenimento, che in passato non aveva, e per la quale non era dotata di apposite strutture muscolari. Ma non è tutto. Una vita sedentaria, un'attività lavorativa seduta, una disciplina sportiva che causa microtraumi locali come equitazione o ciclismo, il naturale invecchiamento, eventi traumatici o interventi chirurgici locali con esiti cicatriziali sono tutti fattori che possono sollecitare ulteriormente e ripetitivamente tale struttura anatomica.

 


Possibili cause

I meccanismi algici responsabili della sindrome sono ancora poco noti e talvolta frutto di semplici ipotesi. Si stima, infatti, che ad oggi circa il 60 % dei pazienti, che ne sono affetti, non riescono a trovare una soddisfacente spiegazione al loro disturbo. Tuttavia, tra le cause le più probabili, che spesso si sovrappongono tra loro, troviamo neuropatie periferiche di tipo canalicolare, come la nevralgia del pudendo, o postraumatiche; fibromialgia o quadri muscolo-tensivi di lombalgia, sacralgia o coccigodinia; sindrome dell'intestino irritabile, malattia infiammatoria pelvica cronica, diverticolite, colite ulcerosa, morbo di Chron, proctiti, emorroidi e ragadi anali; endometriosi, fibromi e cistite interstiziale; orchiti, epididimiti, prostatiti o varicocele pelvico; fattori iatrogeni, posturali e psicologici. Nella maggiorparte dei casi non è facile, però, concludere se tali patologie siano causa, concausa, fattori scatenanti o rilievi ininfluenti sul quadro algico. Anche il parto, conseguentemente sia alle modifiche fisiologiche legate alla gravidanza, sia all'aumento del peso addominale, sia al traumatismo legato all'espulsione del nascituro, viene spesso aggiunto a tale elenco.

In altre parole, a secondo dei casi, lo stimolo algico può avere un'origine vescicale, uretrale, prostatica, ginecologica, anorettale, neurogena, vascolare, osteomuscolare, cutanea o centrale. Tuttavia, i casi di dolore pelvico-perineale cronico sembrano avere in comune un'infiammazione neuro-mediata da attivazione mastocitaria. Inoltre, è frequente osservare un ipertono della muscolatura del pavimento pelvico non di rado associato ad una tendenza alla accorciamento delle componenti muscolo-tendinee di anca e rachide lombare.

 


Servono esperienza clinica e centri dedicati

Non esiste uno specialista particolare a cui indirizzare il paziente per un corretto inquadramento clinico e per la formulazione di una prima proposta terapeutica. Esistono, invece, centri e medici che nel corso degli anni hanno maturato una buona esperienza sulla base dei diversi casi osservati e seguiti nel tempo. Lo specialista adatto è, pertanto, colui che ha esperienza clinica nella diagnosi e nella terapia del dolore pelvi-perineale cronico. Solitamente si tratta di un fisiatra, un urologo, un neurologo o un medico afferente a un centro per la cura del dolore.

La gestione del paziente è comunque sempre multidisciplinare e spesso la diagnosi di dolore pelvico-perineale cronico avviene per esclusione. Ciò significa che si propende per questa alternativa quando gli specialisti di branca, supportati dalla diagnostica, non ravvedono infezioni, infiammazioni o neoplasie a carico degli organi di loro competenza ma il paziente continua a lamentare tale disturbo. Tuttavia, anche se spesso non è possibile identificare una causa scatenante e trattarla con terapia mirata, possiamo attuare una serie di strategie terapeutiche volte a ridurre dolore, disagio e altri sintomi associati. La diagnosi è comunque un percorso lungo e anche la terapia procede frequentemente per tentativi da modulare sulla base dei risultati riferiti di volta in volta dal paziente. Di ciò il soggetto affetto deve essere pienamente consapevole fin dall'inizio, sia al fine di collaborare attivamente al percorso intrapreso, sia in modo da evitare quadri di ansia e depressione reattivi.

 

 

Un quadro clinico polimorfo
Durante la visita, lo specialista dovrà indagare attraverso un'accurata anamnesi patologie pregresse, interventi subiti, stili di vita, abitudini sessuali, vizi posturali, farmaci assunti, attività sportiva e lavorativa. Si passa, quindi, al quadro clinico lamentato dal paziente. Come già anticipato, il dolore è il sintomo principale e può presentarsi in modo continuo o ricorrente. Viene spesso aggravato dalla postura seduta, dall'attività sportiva o sessuale e frequentemente mitigato dalla posizione sdraiata, dal riposo o dalla terapia farmacologica. Non di rado sono presenti contemporaneamente alterazioni della sensibilità come il formicolio, detto parestesia, l'intorpidimento, detto ipoestesia, la percezione dolorosa al semplice sfioramento, detto allodinia, o la riacutizzazione dolorosa per modica stimolazione, detta iperalgesia. Talvolta, sono riferite anche alterazioni termiche come sensazione di caldo o freddo in alcune aree. Tali disfunzioni nervose periferiche vengono spesso definite dal paziente come un fuoco interiore, una puntura di spilli, un martello battente, la presenza di un corpo estraneo, la sensazione di indossare una mutanda che stringe o una sensazione di gonfiore. Queste metafore possono essere estremamente utili al medico per inquadrare fin da subito la tipologia specifica della disfunzione nervosa presente.

L'esame obiettivo dovrà invece valutare visivamente e palpatoriamente la regione perineale, genitali inclusi, cercando di stimare l'estensione dello stimolo doloroso ed eventuali alterazioni sensitive. Come già riferito l'ipertono del muscolo elevatore dell'ano è molto frequente in questa sindrome. Tale muscolo è ben indagabile tramite palpazione vaginale o rettale e, in caso di tale patologia, risulta di consistenza aumentata e molto dolorabile al tocco. Frequentemente la problematica si presenta bilateralmente anche se non mancano casi di prevalenza sintomatica monolaterale. Tali manovre richiedono ovviamente l'uso dei guanti da parte del sanitario e una condizione fisica e mentale di rilassamento del paziente affinchè emotività o disagio non inficino la valutazione medica. Anamnesi ed esame obiettivo potranno essere estesi ulteriormente sulla base della possibile sintomatologia gastroenterica, urologica o sessuale lamentata dal paziente. Ciò non è infrequente in quanto uretra, vagina e ano attraversano tale muscolo tramite iati contigui e possono, quindi, risentire del tono aumentato di tale struttura.

Infine, sulla base di quanto emerso da anamnesi ed esame obiettivo, potranno essere disposti esami di laboratorio, come indici infiammatori ematici, urinocolura o spermogramma; esami di diagnostica per immagini, come ecografia, TAC o risonanza magnetica; esami funzionali come studi neurofisiologici, prove urodinamiche o manometria. Il polimorfismo della sintomatologia lamentata per sede, intensità e tipologia richiede un'alta personalizzazione del percorso diagnostico che non può, quindi, seguire un protocollo standardizzato e uguale per tutti i pazienti.

 


Principali trattamenti possibili
Il trattamento conservativo può prevedere diverse opzioni che vengono intraprese sia sulla base di quanto emerso dalla valutazione medica specialistica, sia sulla qualità della risposta a terapie già tentate in precedenza.

L'opzione farmacologica è solitamente una delle prime attuate e, oltre alla triade classica delle "3A" ( antibiotico, alfa-litico ed antinfiammatorio ), può prevedere anche inibitori del dolore neuropatico, come il pregabalin, miorilassanti o integratori a base di vitamine del gruppo B o acido alfa-lipoico. Il ricorso ad infiltrazioni locali, con diverse sostanze tra cui la tossina botulinica, è poi possibile ma destinato solo a pochi casi selezionati.

Diverse sono invece le opzioni fisioterapiche. Queste possono spaziare dallo stretching, ad un lavoro di rieducazione posturale di bacino e rachide, a tecniche di massoreapia rilassante o di medicina manuale volte a sciogliere i trigger point. Ulteriori tecniche analgesiche, desensibilizzazione e decontratturanti sono invece attuabili localmente attraverso terapie fisiche che sfruttano correnti elettriche, ultrasuoni e calore. Il supporto psicologico o le tecniche di rilassamento generale, come lo yoga, posso essere invece utili nei casi in cui lo stress e le tensioni costituiscono importanti e ricorrenti elementi di aggravamento del quadro clinico.

La modifica degli stili di vita e delle abitudini quotidiane è, invece, fondamentale nei casi in cui questi costituiscono un importante fattore di riacutizzazione. A puro scopo esemplificativo devono, quindi, essere considerati il calo del peso, la modifica della dieta in caso di patologie gastroenteriche associate, la cura della postura da seduti, l'uso di sedie o cuscini ergonomici, la sospensione o la riduzione di alcune attività sportive, l'evitamento dell'esposizione al freddo o l'astensione dall'uso di strumenti vibranti in ambito lavorativo.
Destinato solo ai casi specifici, è invece il trattamento chirurgico che può prevedere proposte come la neurolisi, in caso di intrappolamento di nervi periferici, o la neuromodulazione.