SINDROME TUNNEL CARPALE

SINDROME TUNNEL CARPALE : l'esperto risponde - TESTO DEL PROF. NOSEDA

 

SINDROME DEL TUNNEL CARPALE

 

Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 8 dell'ottobre 2019 sul tema "SINDROME DEL TUNNEL CARPALE" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, e consulente di centri medici, strutture riabilitative, palestre e centri sportivi.

 

Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico.

 

Con la dizione tunnel carpale si intende una regione anatomica situata sul versante volare alla base della mano, delimitata sui tre lati dalle ossa carpali e superiormente da un legamento molto spesso, detto traverso del carpo. Al suo interno decorrono il nervo mediano, responsabile della sensibilità delle prime tre dita e di parte del quarto oltre che della mobilità della muscolatura dell’eminenza tenar, e i tendini di nove muscoli flessori, ovvero il flessore lungo del pollice, quattro flessori superficiali e quattro flessori profondi delle dita.

 

La sindrome del tunnel carpale ( STC ) rappresenta la più frequente patologia del sistema nervoso periferico. Si manifesta solitamente quando i tendini di tali muscoli vanno incontro a sovraccarico funzionale con conseguente infiammazione locale. Ciò, infatti, determina un aumento del diametro di tali strutture all’interno del tunnel carpale che, essendo per sua natura una struttura poco espansibile, genera una compressione abnorme sul nervo mediano con sofferenza sensitiva o motoria delle sue fibre proporzionale al grado di costrizione. Tale sindrome può verificarsi, però, anche per cause differenti e legate per esempio a patologie croniche come il diabete, l’insufficienza renale e le patologie tiroidee, che possono comportare un ispessimento della sinovia tendinea, o in associazione a patologie ortopediche, come lussazioni, fratture di polso, artrosi, artrite reumatoide, che alterano e riducono nel tempo il lume del canale. E’, poi, frequentemente osservabile in malattie da accumulo come la gotta o l’amiloidosi per il continuo deposito rispettivamente di cristalli di urato o amiloide, così come durante la gravidanza o conseguentemente all’abuso di steroidi per la ritenzione di liquidi locale associata a tali condizioni. Tra gli altri fattori di rischio specifici troviamo, invece, attività lavorative che comportano l’uso di strumenti vibranti, come motoseghe e martelli pneumatici, ma anche e soprattutto manualità fini protratte nel tempo, movimenti ripetitivi, posture fisse o ridotti tempi di recupero. E’, pertanto, facilmente riscontrabile in operatori del settore tessile, manifatturiero, elettronico, alimentare, calzaturiero ma anche in addetti alla cucina e alle pulizie oltre che nel personale di segreteria. In quest’ultimo caso l’utilizzo del pc e in particolare del mouse, soprattutto se usato a polso esteso e per molte ore al giorno, senza pause, costituisce un noto ed importante fattore predisponente. Per gli stessi motivi biomeccanici è frequente anche in alcuni musicisti, come ad esempio i chitarristi, e in alcune attività sportive caratterizzate dall’impugnatura di un attrezzo e da forte stress sulle articolazioni del polso e delle mani. E’ questo il caso del canottaggio, del tennis, del golf, del climbing, del bowling, del tiro con l’arco ma anche del già citato bodybuilding. Altri fattori predisponenti generici sono, poi, la famigliarità, la mezza età ovvero quella tra i 45 e i 65 anni, il soprappeso e il genere. Il riscontro di una sindrome del tunnel carpale è, infatti, più frequente nelle donne rispetto agli uomini di circa 3 volte. Infine, la patologia si manifesta bilateralmente in circa il 70% dei casi, con ovvia prevalenza per l’arto dominate.

 

Clinica e diagnosi

La sintomatologia riferita dal paziente presenta uno spettro di gravità differente in quanto risulta essere influenzata sia dal grado di compressione del nervo mediano sia dal tempo di persistenza di tale problematica. Inizialmente il soggetto lamenta parestesie, riferite per lo più come formicolii o sensazione di bruciore, alle prime 3 o 4 dita della mano. Talvolta, invece, il paziente riferisce un franco dolore che può irradiarsi lungo l’avambraccio e più raramente può giungere fino alla spalla. Tale sintomatologia si riacutizza tipicamente di notte, probabilmente a causa del ristagno di liquidi dovuto all’immobilità o ad involontarie posture a polso flesso che il soggetto assume involontariamente durante il sonno, e si allevia solitamente scuotendo le mani. Negli stadi più avanzati, invece, il dolore e la perdita si sensibilità sono presenti anche durante il giorno e risultano essere tali da rendere difficoltose tutte quelle attività quotidiane che richiedono forza delle dita e precisione come svitare un tappo o cucire. La sensazione di goffaggine o debolezza, conseguente al danno sia stenico che sensitivo, possono essere responsabili della caduta involontaria degli oggetti dalle mani. Nei casi più gravi l’ipostenia comporta una difficoltosa mobilità del primo dito, soprattutto nella sua funzione di opposizione, e si associa ad atrofia dell’eminenza tenar dove la cute può anche presentare frequentemente un aspetto secco e giallastro.

Dopo aver indagato la sintomatologia riferita dal paziente, oltre ad ogni possibile fattore di rischio, il medico eseguirà alcuni test di provocazione al fine di evocare i disturbi tipici della sindrome del tunnel carpale. Il test di Tinel, ad esempio, consiste nel percuotere con colpetti ripetuti il nervo mediano all’altezza del tunnel al fine di evocare il formicolio lungo l’avambraccio o alla mano a livello di pollice, indice, medio e al versante radiale del quarto dito. Una possibile variante è il test di Durkan che prevede, invece, una pressione continua in tale regione anatomica. Il test di Phalen si esegue, poi, chiedendo al paziente di mantenere i polsi in estensione forzata con i palmi affrontati nel tentativo di evocare dolore o formicolio alle tre dita della mano nei 60 secondi successivi. Possibile anche lo stesso stress-test in flessione, ovvero col dorso delle mani a contatto tra loro, che prende il nome di test di Phalen inverso. La valutazione della stenia, della manualità fine, della sensibilità locale, del trofismo muscolare e cutaneo completa l’esame obiettivo.

Al fine di diagnosticare la sindrome del tunnel carpale è importante escludere, poi, molte altre patologie come l’ernia cervicale C6, la sindrome dello stretto toracico superiore, la cisti volare radiale e altre neuropatie come quelle diabetiche o ulnari. La conferma diagnostica è possibile ottenerla mediante studi elettrofisiologici come la neurografia ( ENG ) e l’elettromiografia ( EMG ). Nel primo caso sono posti degli elettrodi sulla mano e sul polso e tramite piccole scosse elettriche viene misurata la risposta del nervo in termini di velocità, latenza ed ampiezza; nel secondo, invece, un ago è inserito nel muscoli per studiarne l’attività permettendo, così, di stabilire la gravità della sindrome ed escludere altre patologie. Pertanto, mentre l’elettroneurografia studia la risposta del nervo mediano a stimoli elettrici confermando la diagnosi, l’elettromiografia indaga l’attività dei muscoli innervati dal nervo mediano stabilendo la gravità della patologia e rendendo possibile la diagnosi differenziale. I due esami vengono eseguiti contestualmente e richiedono mediamente 10-15 minuti. La radiografia del polso può, invece, essere utile per evidenziare esiti di pregresse fratture, lussazioni o anche la presenza di artrosi mentre gli esami del sangue possono essere richiesti per porre diagnosi di artrite, gotta o altre patologie sistemiche concomitanti.  

 

Principi di trattamento conservativo

Negli stati iniziali la sindrome del tunnel carpale può essere trattata in modo conservativo. E’ bene, innanzitutto, identificare tutte le attività lavorative, ludiche o sportive a rischio al fine di evitare, se possibile, o correggere le manualità a maggior rischio. Sono, quindi, anche da considerare l’alternanza tra diverse mansioni, il rispetto dei tempi di pausa e il ricorso ad attrezzatura più ergonomica. In linea di massima la postura ottimale è quella che mantiene sulla stessa linea avambraccio e mano mentre sono a maggior rischio le attività eseguite in massima flessione o estensione, soprattutto se mantenute per troppo tempo ed eroganti picchi eccessivi di forza. Per tale motivo è spesso consigliato un tutore di riposo da indossare sia nelle ore notturne sia durante le mansioni stressanti per il polso. Sono, poi, indicati al fine di alleviare il dolore e limitare l’infiammazione locale sia la crioterapia locale, mediante ice-pack o ghiaccio, sia antinfiammatori non steroidei ( FANS ) come diclofenac, ibuprofene e ketoprofene. In caso di risultato parziale o inefficacia delle metodiche precedenti, sono possibili anche infiltrazioni locali di cortisonici ricordando, però, che dovrebbero essere limitate a poche sedute per evitare il noto effetto iatrogeno dell’ormone sui tessuti molli circostanti. Infine, è bene seguire scrupolosamente la terapia farmacologia nei casi di sindrome di tunnel carpale conseguente ad altre patologie e ridurre il peso corporeo nei soggetti in soprappeso.

 

Principi di trattamento chirurgico

Si ricorre al trattamento chirurgico quando i sintomi sono particolarmente gravi o quando i risultati della terapia conservativa sono parziali o marginali. L’intervento può essere eseguito sia mediante incisura chirurgica classica con bisturi sia per via endoscopica ma, comunque, in entrambi i casi l’intervento avviene sempre in anestesia locale e in day hospital. La scelta sulla metodica da adottare dipende più che altro dalle preferenze del chirurgo in quanto non esiste un miglior risultato di una tecnica rispetto all’altra. In entrambi i casi viene comunque sezionato il legamento traverso del carpo per allargare il canale e a volte si associa anche la neurolisi, ovvero la pulizia del nervo, quando questo risulta imbrigliato nei tessuti molli circostanti a causa del persistere della flogosi cronica. La prima metodica lascia, però, una cicatrice di circa 3 centimetri come esito mentre la seconda richiede solitamente una durata maggiore per via della preparazione della strumentazione necessaria. Rare e similari sono, infine, anche le possibili complicanze ovvero l’infezione, l’emorragia, la lesione del nervo radiale, l’algodistrofia e la recidiva. Solitamente la ripresa di attività manuali leggere come vestirsi, mangiare e provvedere all’igiene personale avviene già dopo la prima settimana mentre l’utilizzo pieno e sicuro della mano operata richiede mediamente 4 – 6 mesi. Per le prime 2-3 settimane è consigliato, poi, un tutore da rimuovere gradualmente con l’inizio degli esercizi di fisioterapia che il paziente dovrà eseguire anche in autonomia al domicilio con costanza quotidiana. Di norma l’intervento comporta la scomparsa immediata del dolore mentre eventuali altri danni stenici o sensitivi possono richiedere anche tempi più lunghi, ovvero tra i 6 e i 9 mesi, per una ripresa completa. Purtroppo, nei casi in cui la compressione è stata grave e prolungata prima di giungere all’intervento chirurgico, il recupero potrà essere solo parziale. Per tale motivo è sempre bene non sottovalutare la sintomatologia e rivolgersi ad un fisiatra o ad un ortopedico esperto in patologie della mano per concordare la tempistica ottimale d’intervento quando necessario.