LOMBALGIA ACUTA

LOMBALGIA ACUTA : l'esperto risponde - TESTO DEL PROF. MASSIMILIANO NOSEDA

 

LOMBALGIA ACUTA: COSA FARE E COSA NON FARE

 

Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 4 dell'aprile 2019 sul tema "LOMBALGIA ACUTA: COSA FARE E COSA NON FARE" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, e consulente di centri medici, strutture riabilitative, palestre e centri sportivi.

 

Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico.

 

Con il termine lombalgia acuta si è soliti intendere un dolore riferito in regione lombare che regredisce, spontaneamente o dopo terapia, nell’arco temporale massimo di un mese. Nulla ci dice, tuttavia, tale denominazione sui fattori di rischio o sulla causa che l’hanno generato e che possono risiedere in patologie muscoloscheletriche come l’artrosi, la discopatia e l’osteoporosi, o in problematiche funzionali come l’eccessivo sovraccarico o posture innaturali protratte nel tempo, entrambe tipiche di molte attività sportive o lavorative.

 

La lombalgia acuta può insorgere all’improvviso tipicamente durante un movimento di flessione o rotazione, nel sollevamento di un carico pesante o al risveglio mattutino e può essere di entità tale da bloccare completamente il soggetto nella mobilizzazione del tratto lombare. Per tale ragione si parla anche di colpo della strega. Altre volte compare invece in modo graduale nell’arco di qualche giorno fino a limitare progressivamente il paziente nelle sue attività quotidiane. In ogni caso, un approccio corretto, di tipo preventivo nei soggetti che risultano essere professionalmente a rischio o portatori di uno o più fattori di rischio a livello muscoloscheletrico oppure di tipo riabilitativo in quelli che hanno almeno un episodio in anamnesi, risulta essere fondamentale per recupere quanto prima un pieno stato di benessere fisico, psichico e sociale.

 

Cosa fare

Soprattutto se sono noti analgesici o antinfiammatori già assunti in passato con beneficio e non si hanno particolari controindicazioni come altre terapie farmacologiche in corso, patologie gastriche o della coagulazione, l’automedicazione è consigliata in caso di sintomatologia dolorosa importante come primo approccio. E’ bene sapere, infatti, che non solo non esiste una correlazione tra il dolore e la gravità del quadro clinico ma anche che nella maggior parte dei casi il quadro algico tenderà a rientrare, più o meno spontaneamente, nel giro di qualche giorno. Potrebbero, quindi, non essere necessari ulteriori provvedimenti terapeutici.

Il consulto di un medico, che almeno inizialmente dovrebbe essere effettuato dal proprio curante, dovrebbe essere riservato ai casi che sembrano non trarre beneficio dal trattamento farmacologico iniziale e dalla sola modifica delle abitudini quotidiane. Maggior attenzione deve essere posta, invece, ai quadri in cui il dolore si associa ad altri sintomi come disturbi della minzione, problemi digestivi o estensione della sintomatologia agli arti inferiori di tipo sensitivo o stenico dove il parere dovrebbe essere più immediato. Un’algia lombare potrebbe, infatti, essere espressione di una sofferenza nervosa o di patologie di organi retroperitoneali come rene, pancreas o aorta che richiedono ovviamente un differente approccio diagnostico e terapeutico.

Applicare una fonte di calore locale può essere utile nei casi di contrattura per via dell’effetto miorilassante conseguente al riscaldamento mentre cercare di controllare situazioni di ansia e stress, non solo con farmaci ma anche e soprattutto con tecniche di rilassamento come lo yoga o lo stretching, può contribuire ad alleviare almeno in parte sia il dolore locale sia la sofferenza psichica associata.

Se indicato e necessario, sia sulla base delle limitazioni funzionali conseguenti all’evento acuto sia della persistenza del quadro clinico nel tempo, un trattamento riabilitativo comprensivo di tecniche di massoterapia decontratturante, esercizi attivi di rinforzo della muscolatura lombo-addominale, controllo posturale e modifica delle abitudini quotidiane con miglior attenzione ad un uso responsabile del rachide può non solo ridurre i tempi di recupero ma anche prevenire temute recidive.

 

Cosa non fare

E’ bene non cedere al dolore mettendosi a letto in quanto in tal modo la contrattura potrebbe aumentare e l’indebolimento da non uso della muscolatura peggiorare il quadro clinico. Per lo stesso motivo è opportuno evitare l’abuso del corsetto che, se consigliato dal medico, dovrebbe essere limitato a qualche giorno e rimosso gradualmente quanto prima. Restare attivi resta, quindi, la scelta migliore cercando di cambiare frequentemente posizione e, allo stesso tempo, evitando sedute troppo basse o prive di supporto lombare, posture fisse prolungate, sollevamento di carchi soprattutto se maneggiati lontano dal corpo o movimenti di flessione e rotazione.

Fatta eccezione per i casi in cui l’insorgenza della lombalgia è conseguente ad un trauma dove di fatto è importante escludere fin da subito la fattura, il ricorso alla radiografia non è solitamente indicato prima di 30 giorni dalla comparsa del quadro clinico. Questo sia in quanto una completa risoluzione del quadro è molto probabile prima di tale termine temporale, sia per il fatto che i primi approcci terapeutici prescindono dal particolare quadro morfologico locale, sia perchè è bene ricordare che spesso il riscontro di una discopatia o di un’artrosi è del tutto occasionale e non necessariamente correlato al quadro di lombalgia acuta. Reperti similari si trovano, infatti, anche in soggetti che hanno eseguito una radiografia del rachide o dell’addome per altri motivi e sono del tutto asintomatici. Da evitare, in assenza di problematiche neurologiche associate e in mancanza di indicazione specialistica, è anche il ricorso precoce a tomografia assiale compiuterizzata (TAC ) o risonanza magnetica nucleare ( RMN ) che, oltre a costituire una spesa inutile, non cambierebbero il primo approccio farmacologico o riabilitativo.

Non è, poi, opportuno in caso di trattamenti riabilitativi usare protocolli standard con esercizi uguali per tutti. Il successo di un buon percorso fisioterapico non può, infatti, prescindere da un’attenta analisi dei fattori di rischio anatomici, quotidiani, lavorativi e sportivi del singolo soggetto e, pertanto, la personalizzazione degli esercizi risulta essere un elemento imprescindibile in associazione alla modifica delle particolari abitudini quotidiane e alla prosecuzione anche in autonomia di quanto impostato con il fisioterapista. Questo ovviamente anche al fine di mantenere un buon controllo neuromotorio, stenico e posturale nel tempo e prevenire possibili recidive.