EPITROCLEITE
Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 7 del settembre 2019 sul tema "EPITROCLEITE" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, e consulente di centri medici, strutture riabilitative, palestre e centri sportivi.
Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico.
Con il termine epitrocleite si è soliti indicare una tendinopatia inserzionale della porzione mediale del gomito ovvero un processo flogistico o degenerativo a carico dei tendini dei flessori del polso e delle dita della mano. Pur potendo presentarsi bilateralmente e a qualsiasi età, la patologia interessa prevalentemente l’arto dominante e predilige la IV e V decade di vita. Oltre a fattori di rischio generici come il genere maschile, l’essere longitipo e l’abitudine al fumo, i microtraumatismi ripetuti costituiscono sicuramente uno dei principali elementi in grado di scatenare la comparsa della malattia. Risultano infatti essere particolarmente predisposti soggetti che praticano attività ludiche o lavorative caratterizzate da sforzi eccessivi, posture fisse prolungate e movimenti ripetitivi eseguiti in flessione e pronazione di polso. Anche l’uso di strumenti vibranti come trapani e martelli pneumatici costituisce un ulteriore fattore di rischio.
In ambito sportivo si osserva soprattutto nei golfisti per la gestualità in intrarotazione dell’avambraccio tipica dello swing. Si può presentare, tuttavia, anche nei tennisti, in particolare durante il rovescio a una mano o in coloro che fanno frequente ricorso al topspin nel colpire di diritto, negli sport di lancio come il baseball e nel sollevamento di un carico come ad esempio avviene nel bodybuilding. In tutti questi casi il rischio insito nel particolare gesto sportivo può associarsi anche ad altri fattori predisponenti come una tecnica non ottimale, tipica del principiante o delle fasi di stanchezza, un attrezzo non adeguato per peso, modalità o dimensioni di impugnatura, ma anche in associazione a mancanza di adeguata preparazione fisica, assenza di riscaldamento o sovraccarico funzionale con scarsi tempi di recupero. Infine, tra i musicisti è particolarmente frequente nei chitarristi.
Dal punto di vista anatomopatologico, invece, la patologia si caratterizza inizialmente per un processo infiammatorio del tendine ( stadio I ) che se trascurato può comportare una degenerazione della struttura tendinea con sostituzione delle fibre elastiche native con tessuto fibroso vascolarizzato ( stadio II ) in grado di evolvere fino alla lesione parziale o totale della struttura interessata ( stadio III ). Poiché solo la prima fase di tale processo è reversibile e in grado di regredire fino ad una completa “restitutio ad integrum”, è fondamentale rivolgersi tempestivamente a un medico esperto, fisiatra o ortopedico, fin dai primi sintomi per prevenire danni irreversibili che potrebbero lasciare esiti invalidanti e limitare la performance futura in ambito ludico, sportivo o lavorativo.
Clinica e diagnosi
L’epitrocleite è anche detta “epicondilite mediale” e risulta essere caratterizzata da un dolore a livello dell’epitroclea, ovvero della porzione interna del gomito, che può essere localizzato solamente in tale sede o irradiarsi lungo l’avambraccio fino a polso e mano. Tale algia può comparire sia in modo graduale, e venir descritta dal paziente come un fastidio ricorrente, sia in forma acuta, ovvero essere di entità tale da compromettere significativamente la funzione dell’arto superiore ed associarsi a ipostenia distale. Ciò può essere dovuto non solo al processo infiammatorio tendineo locale ma anche al coinvolgimento del vicino del nervo ulnare che risulta essere coinvolto in circa il 50% dei casi vista la sua vicinanza anatomica.
La diagnosi è quasi sempre clinica e prevede inizialmente un’attenta anamnesi in grado di indagare tutti i possibili fattori di rischio oltre ai fattori aggravanti o limitanti il dolore. Si passa poi all’ esame obiettivo che consiste non solo nella palpazione delle strutture dolenti ma anche nella valutazione del range articolare dell’arto superiore nel suo insieme e nell’esecuzione di test muscolari contro resistenza al fine di ricercare sia la comparsa di algie conseguenti allo stress esercitato sulle strutture infiammate sia la qualità della stenia. Inoltre, in caso di borsite associata è possibile osservare la deformità del profilo articolare attraverso la comparazione col gomito controlaterale mentre in caso di coinvolgimento del nervo ulnare il paziente lamenta spesso parestesie a livello del IV e V dito. Per la conferma diagnostica, ma anche per valutare il numero dei tendini coinvolti, la tipologia di danno e la possibile reversibilità del quadro, è utile richiedere un’ecografia, esame del tutto innocuo e relativamente poco costoso. Altri indagini come la radiografia, l’elettromiografia e la risonanza magnetica non sono da considerarsi di routine ma possono essere utili per documentare la presenza di altre patologie che possono essere causa di dolore mediale di gomito come ad esempio artrosi, artriti, sinoviti, sindromi compressive del nervo ulnare, neuropatie del nervo cutaneo mediale dell’avambraccio, instabilità articolare di gomito, fratture da avulsione del condilo mediale o compressione delle radici nervose cervicali. Non tutti i dolori interni di gomito sono necessariamente espressione di una tendinopatia, motivo per cui è bene giungere ad una diagnosi di certezza e di esclusiva competenza medica prima di sottoporsi a qualsiasi tipo di trattamento.
Principi di trattamento
In fase acuta l’acronimo PRICEMM è utile per ricordare in sintesi cosa è opportuno fare ( protection, rest, ice, compression, elevation, medication and passive modalities ). Bisogna infatti innanzitutto individuare tutte le attività lavorative, ludiche e sportive a rischio ed astenersi dalle stesse o quanto meno ridurle drasticamente per frequenza ed intensità. L’inosservanza del riposo, purtroppo spesso disatteso dallo sportivo che non accetta sempre di buon grado di sospendere allenamenti o saltare competizioni, può non solo essere causa d’insuccesso terapeutico ma anche determinare il perpetuarsi del quadro clinico e portare rapidamente alla cronicizzazione o alla recidiva. Consigliato è anche l’applicazione di apposite gomitiere o eventualmente di bendaggi e taping a patto però che siano applicati da personale competente in grado di tensionarli adeguatamente. Per il suo potere antinfiammatorio e analgesico, la crioterapia mediante ice pack è indicata anche più volte al giorno così come è bene valutare fin da subito una terapia farmacologica con FANS se non controindicata da altre patologie note. A seconda della gravità del quadro clinico e del suo perdurare nel tempo, tali farmaci possono essere assunti per bocca con eventuale gastroprotezione o applicati localmente in forma di gel, creme o cerotti medicati. Dicolofenac, ketoprofene o ibuprofene sono di norma i principi attivi di prima scelta. Per ciò che riguarda invece il trattamento riabilitativo dovranno essere eseguiti esercizi passivi e attivi di stretching al fine di allungare le strutture muscolari che i mediatori dell’infiammazione tendono a mantenere accorciati così come esercizi di mobilizzazione che servono a recuperare il range articolare e la scioltezza di movimento in assenza di dolore. Non possono mancare poi anche esercizi di rinforzo muscolare, rieducazione propriocettiva e posturale che il paziente deve eseguire anche in autonomia con costanza quotidiana dopo averli appresi da un fisioterapista esperto. Al lavoro chinesiterapico possono inoltre essere associate tecniche di massoterapia locale volte a scollare e distendere i fasci muscolari e a drenare il ristagno di liquidi associato all’infiammazione locale. Terapie fisiche come tecar, onde d’urto, laser e ultrasuoni possono essere utilizzate infine a completamento della seduta riabilitativa. La risoluzione del quadro clinico può variare da alcune settimane a qualche mese anche in considerazione del danno tendineo determinato dal processo patologico. Solo nei casi più gravi e realmente refrattari a diversi cicli di fisioterapia e farmaci, è possibile valutare qualche infiltrazione cortisonica. Tale procedura deve essere però opportunamente ponderata sulla base del noto effetto iatrogeno sui tessuti molli che potrebbe determinare un ulteriore danno locale ed aggravare il quadro di fibrosi o lesione locale. Solo nel 10%, dei casi l’insuccesso del trattamento conservativo protratto per oltre 6 - 12 mesi richiede un approccio chirurgico che prevede la rimozione del tessuto tendineo degenerato e l’immobilizzazione con tutore per circa un mese seguito da un nuovo trattamento fisioterapico intensivo. Nella maggior parte dei casi invece l’epitrocleite ha una prognosi tanto più benevola quanto più precocemente è diagnosticata e trattata.
La fase di ripresa dell’attività ludica o sportiva dovrà essere graduale e concordata col medico di riferimento per tipologia d’allenamento e ripresa dei carichi. Inoltre, un’adeguata fase di riscaldamento e di defaticamento, comprensiva anche di alcuni degli esercizi effettuati durante le sedute riabilitative, dovrà sempre essere prevista in associazione alla cura del gesto sportivo e all’eventuale modifica dell’attrezzatura necessaria.